La Nostra Storia

I Diari Di Erre

Pochi giorni dopo la caduta

Anno 1155

Dal diario di Erre,
capitano eletto dell’ordine mercenario
degli Hul’Naus Kalith.

Ottobre

Anno 1156

Dal diario di Erre,
capitano eletto dell’ordine mercenario
degli Hul’Naus Kalith.

Settembre

Anno 1158

Un ultimo saluto a tutti quei compagni, fratelli, che purtroppo dovranno sacrificarsi e restare a difendere quel che resta delle nostre terre dominate da Grifus. Dedicheremo a voi ogni goccia di sangue che caveremo al nemico.

Settembre

Anno 1161

Da Zarion. È la prima volta che scrivo su questo diario. Non avrei voluto ma voglio continuare ad aggiornarlo. Purtroppo Erre non ne è in grado in questa forma. I suoi momenti di lucidità non gli permettono cose di questo tipo. Sarò sintetico

Aprile

Anno 1163

“Sssssto bene ora… sssento che passsssa…” un leggero odore di erba bagnata, una giovane donna che mi scioglie una benda bagnata con un qualcosa di appiccicoso dal muso, un succoso roditore che sfreccia verso la salvezza nel sottobosco.

Primo Diario

“Ricordo ancora le fiamme, le urla, l’odore di pece e di sangue che inzuppava il mio mantello. Ricordo di come Lacenor, il nostro principe, cadde a terra nel suo stesso sangue. Ricordo la sua figura martoriata mentre spirava tra le fila nemiche. Ricordo che disse qualcosa all’orecchio di Silduhin… un segreto che portiamo ancora con noi… un segreto che è la promessa di una rinascita. Ricordo l’umiliazione della fuga, ricordo gli occhi dei pochi sopravvissuti intrisi di odio e disperazione.
È passato più di anno dalla caduta di Spao Lithos, eppure ricordo ancora ogni dettaglio. Qui di seguito narrerò la mia storia, la nostra storia. Affinché nessuno dimentichi chi siamo stati e affinché i nostri figli e i figli dei nostri figli portino a compimento la missione che noi tutti ci siamo presi sulle spalle.
Riprenderci quel che un giorno era nostro”.
Lukus, la terra dalle cento torri, così eravamo soliti chiamarla. Una terra baciata dal sole, con un terreno fertile per il grano e mite per l’allevamento. La gente si sentiva protetta semplicemente volgendo il proprio sguardo verso l’alto, là dove la nostra rocca svettava sulla sommità della montagna. Una fortezza imprendibile a quel tempo. Ormai da decenni le guerre trascuravano il nostro reame, le alleanze con i popoli confinanti resistevano e si solidificavano. Soprattutto con Barbafuoco il re di Griphus. Tra Aibor, il nostro re, e quest’ultimo esisteva un antico legame di sangue, un legame di sangue che nel sangue avrebbe trovato la sua fine.
Sembrava un giorno come tanti altri…
Mi trovavo nel cortile del castello, ero uno dei tanti che contribuiva all’allenamento del principe Lacenor. Avevo una lancia in mano e attendevo pazientemente il mio momento. Lacenor ne aveva già sconfitti otto dei nostri. Non avevo mai visto tanto vigore in un uomo, sembrava infaticabile oltre ad essere portato nell’uso di praticamente qualunque genere di arma. Spada e scudo, ascia e lancia non facevano differenza nelle sue mani. Noi cadevamo uno dopo l’altro, a volte anche a due a due quando osavamo sfidarlo. Tanto era concentrato nello scontro che non percepì la crescente agitazione al castello, fin quando un messo non lo mandò a chiamare, io come sua guardia personale lo scortai.
Era Zarion il messo, avevo avuto modo di bere alla locanda in sua compagnia un paio di volte, lo accompagnava un altro soldato, Lud, a quei tempi non lo conoscevo. Ormai di lui e dei suoi strani fratelli so praticamente tutto. E’ un onore averlo con me.
Zarion mi era sempre sembrato un tipo impassibile, un esploratore solitario e letale che difficilmente faceva trasparire quel che gli passava per la testa. Quel giorno sul suo volto madido di sudore vidi l’ansia e su quello del suo accompagnatore la colpa. Le nuove che portavano erano intrise di sangue e morte. L’incidente avuto da Enric di Griphus ci aveva messi tutti un po’ in subbuglio ma nessuno di noi si aspettava una notizia simile. “Re Barbafuoco , ritenendoci responsabili della morte di suo figlio, sta conducendo l’esercito di Griphus contro di noi in questo preciso momento. Tra pochi giorni saranno alle porte” riportò secco l’esploratore.
“Come può ritenerci responsabili? I suoi uomini erano a caccia con noi quando è caduto da cavallo. Tutti hanno visto che ha sbattuto la testa su un masso. E’ stato un tragico incidente!” sbottò Lacenor davanti ai miei occhi a metà strada fra la furia e lo stupore. Sul volto di Lud comparve la colpa con più evidenza mentre Zarion alzava le spalle rispondendo in maniera muta a quelle domande.
“Seguimi Erre, andiamo da mio padre!” disse il nostro principe ritrovando la calma. Raggiungemmo la sala del trono a passo svelto. Il mio pensiero già andava alla cittadella, questa per prima avrebbe pagato il fio di una colpa che non le spettava. Griphus aveva uno degli eserciti meglio addestrati della regione, ed erano tanti…forse troppi. Stavamo percorrendo la scalinata che portava alle sale più interne del castello quando, prima di entrare nella sala del trono un soldato con fare deciso si diresse verso di noi. “Devo parlarle mio sire” disse prendendosi una libertà di parola che non gli era concessa. Lacenor mi lanciò un’occhiata che ben conoscevo, con un pugno dritto al volto lo rimisi al suo posto. Devo dire che apprezzai il fatto che barcollasse senza cadere. “Sta al tuo posto. Il principe ha ben altro da fare” lo redarguì. Senza asciugarsi il sangue che gli colava dal naso quello rispose ancora. “So cose che i nostri esploratori non possono sapere. So perché questa guerra ha avuto inizio”.
Il soldato era Castor, un tipo taciturno e schivo. Lo conoscevo per fama, era il guardiano della settima torre. Apprezzando la sua fermezza Lacenor gli fece cenno di parlare. “Mio Principe, non sono una spia o un traditore, ma tengo alla mia terra e quindi devo rivelarti la verità. Eric è stato fatto avvelenare da vostro padre il Re ai fini di subentrare nella linea di successione per il trono di Griphus ed unificare i due regni. Ho sentito con le mie orecchie mentre ne parlava durante una riunione segreta nella mia torre. Chiedete a Lud se la mia parola non vi basta, è lui che ha avvelenato Eric! Per favore fidatevi mio signore… questa è la verità, questo è il complotto, questa sarà la causa della nostra fine” concluse con palese agitazione.
Lacenor era sconvolto, ma non aveva certo bisogno di ulteriori conferme a quelle parole. Conosceva troppo bene le macchinazioni che passavano da tempo nella mente del proprio padre e la sincerità che leggeva negli occhi del guardiano era una conferma sufficiente per lui.
Con un calcio spalancò le porte della sala del trono. Entrò e puntò dritto su suo padre il Re.
“Padre!!!” urlò entrando nella stanza. “Cosa hai fatto? Un intero esercito è diretto contro di noi per causa tua!”.
“Figliolo lo sai che Barbafuoco è un guerrafondaio avido e crudele, avremo l’occasione di dargli una lezione!”
Ritrovando la calma Lacenor rispose: “È vero? Sei TU la causa della morte di Eric?”
Il Re rimase sorpreso di questa insinuazione. Il dubbio e l’imbarazzo non lasciarono fraintendimenti.
“Figliolo io l’ho fatto per te, per noi, per Spao Lithos, non potevamo più vivere sotto il giogo di Griphus. E poi senza un erede sono io …e quindi tu, l’erede legittimo …un piccolo sacrificio farà nascere un regno più grande, forte ed indipendente!”
“Tu sei pazzo, l’avidità ti ha portato via il lume della ragione” rispose con freddezza. “Tu che ci hai condannati tutti.. non sei più mio padre! Non sei mai stato degno di questa corona, con il sangue l’hai ottenuta e nel sangue del tuo popolo la seppellirai” Disse strappandogli l’ornamento dal capo. “Uomini, chiamate a raccolta l’esercito” ci ordinò “voglio l’intera popolazione riunita in piazza fra un’ora. Mandate richiesta di aiuto agli alleati e richiamate coloro che ci debbono obbedienza!”.
Così ordinò per poi tornare a concentrarsi su suo padre. “Tu che non l’hai mai amata, la mia Spao Lithos, non sei nemmeno degno di difenderla. Sai che non ne saresti capace. Sarò io a prendermi questo fardello, da questo momento in poi esigo il comando assoluto dell’esercito della resistenza”.
“No… noi ci metteremo in salvo, la città potrà anche cadere ma la nostra linea di sangue non si spezzerà!”.
A quel punto vidi uno sguardo che mai prima di ora avevo visto sul volto di Lacenor. Con furia e disprezzo estrasse la sua spada. Con un gesto elegante ma pieno d’ira decapitò il nostro re.
Nella sala cadde il silenzio.
Nessuno osava proferire parola, e nessuno osò neanche tentare una qualsiasi azione contro Lacenor. In fondo tutti sapevamo che aveva fatto “giustizia”, e se anche qualcuno fosse stato contrario, non sarebbe mai stato così sciocco da scagliarsi contro di lui in quel momento. Sporco del sangue paterno che ancora fuoriusciva dal collo decapitato il nostro principe aveva fattezze più che umane.
Il mio protetto rimase a fissare la pozza di sangue che pian piano si allargava e s’insinuava nelle fessure del pavimento. Quel momento parve eterno.
D’un tratto si destò, come se qualcosa nella sua mente avesse di colpo ricominciato a funzionare, e iniziò ad impartirci ordini. Con un innaturale distacco ordinò di trattare con i dovuti onori funebri la salma del Re poi iniziò a preparare la difesa.
“Erre!” mi disse. “Tu sei il più fedele tra le mie guardie sarai il mio secondo! Riunisci tutta la città nella piazza del Tempio, fa suonare le campane dell’allarme!”.
Subito esegui gli ordini.
Nel giro di poche ore riuniti nella piazza principale davanti al Tempio, c’erano praticamente tutti; uomini, donne, bambini, nobili e contadini. Un groviglio di emozioni si accavallavano nella folla, curiosità, stupore, paura.
Lacenor prese la parola e da un assordante brusio…tutti fecero silenzio:
“Popolo di Lukus, una grande minaccia è alle nostre porte, Griphus sta marciando contro di noi e non sono certo io quello che deve ricordarvi le storie e le leggende che circolano sulla loro armata. Quindi non vi mentirò, ci aspettano giorni pieni di difficoltà e sofferenza. Ci aspettano giorni di sangue e morte.
Contro un esercito che mai a memoria d’uomo ha subito l’onta della sconfitta, abbiamo solo una speranza: l’unione. Dovremo diventare una sola cosa. Basta pregiudizi, basta privilegi, chiunque dovrà contribuire.
Uniti resisteremo, Uniti moriremo, Uniti nel coraggio salveremo la nostra Città! Oggi, qui davanti a voi tutti che mi siete testimoni, io sciolgo ufficialmente l’esercito regolare e la guardia cittadina. Da oggi siamo tutti fratelli. Oggi io rifiuto la corona che per le nostre leggi dovrebbe già ornare il mio capo. Io non sono ancora e non voglio divenire il vostro ennesimo e distante Sovrano. Da oggi sono il capitano degli Hul’Naus Kalith! (che nella nostra antica lingua significa appunto “Uniti nel coraggio”).
Un grande urlo accompagnò quelle antiche parole. Poi ricadde il silenzio.
“Ora noi o risorgiamo come un’unica entità o cederemo uno alla volta, un assalto dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. Vorrei. Ma non posso.
Da oggi tutti noi combatteremo per resistere, da oggi massacreremo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per resistere, ci difenderemo con le unghie e con i denti per resistere, perché sappiamo che quando sommeremo tutti i nostri sforzi, il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che sopravvivrà. Io so che se potrò avere un’esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per questa città. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardatelo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a resistere con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa Terra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso. Questo è essere Hul’Naus Kalith fratelli miei.
In questo giorno oscuro o noi risorgiamo uniti o saremo annientati per sempre”.
Un’ovazione che fece tremare il Tempio stesso si alzò dalla città. Quando Lacenor sventolò l’antico simbolo dei Guardiani di Spao Lithos e urlò: “Hul’Naus!” tutti noi rispondemmo “Kalith”
E tutti noi ci sentimmo come ispirati dalla sua stessa forza, forti della sua stessa volontà…e per un attimo credemmo possibile l’impresa.
Tutti noi ricevemmo precisi compiti da Lacenor. Un’intera città si muoveva coesa verso la stessa direzione.
Io ricevetti il compito e l’onore di selezionare un gruppo di élite.
Molti di quelli che oggi sono i miei fratelli erano in quel gruppo, per molti altri ancora nelle notti più fredde verso lacrime.
Con la benedizione del mio principe scelsi quelli che ritenevo i guerrieri migliori di Lukus, conosciuti negli addestramenti, nei tornei o solo per la fama che li accompagnava.
il nobile Zarion , i fratellastri Lud e Lorien, un assassino di cui fin troppo bene conoscevo le capacità e un temibile elfo guerriero veloce e letale, non ultimo Tankyan che come sempre nei momenti più difficili scese dalle montagne con il suo spadone in cerca di sangue e gloria.
E molti altri validi guerrieri.
Nei giorni successivi non trovammo pace, instancabili erigevamo palizzate e rinforzavamo mura, addestravamo al meglio delle nostre possibilità le nuove reclute e affilavamo le nostre armi. Nel partecipare a tutto ciò non venivo meno ai miei vecchi doveri. Uno di questi di quello di vegliare sul sonno del mio Principe.
Una notte, quando già i nostri esploratori ci avevano riferito che l’esercito nemico sarebbe a breve comparso al di sotto delle nostre mura, sentii una voce provenire dalle stanze del mio protetto. Mi ci volle un attimo per capire che era la sua, sembrava meno sicura di come era solita mostrarsi e mi ci volle un po’ per riconoscerla. Credetti che stesse parlando da solo, invece stava pregando. Non aveva mai pregato nei sei anni in cui fui assegnato al suo servizio. Era un uomo duro, dal cuore valido e dal braccio forte. Quel giorno la prima preghiera della sua troppo breve vita non fu per se stesso. Stava pregando per tutti noi…
La notte seguente avvistammo le prime fiamme.
L’assedio iniziò e fu spaventoso, la furia del sovrano di Griphus fu terribile. Tutte le sue forze del suo reame erano state schierate, se avessi dovuto scommettere avrei detto che nemmeno le guardie della sua città erano rimaste in patria in quei giorni. Le sue macchine d’assedio quasi ci impedivano di vedere l’orizzonte.
Resistemmo, resistemmo oltre le nostre forze, oltre le nostre possibilità. Un uomo dietro le mura ne valeva dieci degli invasori. Ma se mi chiedete se mai per un secondo avemmo una possibilità. La risposta è no.
Contrastammo i loro continui assalti per più di una settimana, ma alla fine trovarono una falla nelle mura a sud. E come schifose termiti s’infiltrarono nella città.
Paesani e contadini fuggirono nelle campagne terrorizzati. Rimanemmo in pochi.
E perdendo gran parte dei nostri ripiegammo freneticamente nella Rocca.
Ormai eravamo un centinaio. Pochi coraggiosi erano rimasti, solo i combattenti più forti o più fortunati avevano resistito.
Il freddo respiro della morte era tanto vicino alle nostre nuche che potevamo quasi sentirlo, eravamo così certi della capitolazione che nessuno pensò a portare delle provviste, sapevamo che non ne avremmo avuto bisogno. Ma nessuno fu preso dalla disperazione. Noi dovevamo lottare per tutto ciò che era nostro, per la nostra terra, per il nostro futuro.
Purtroppo l’ennesimo scontro portò la caduta del portone principale e vanificò anche quest’ultima resistenza e alla fine penetrarono nel palazzo. Noi eravamo tutti lì, accerchiati, braccati. Il tempo non aveva più significato. Notte e giorno si erano fusi in una veglia senza fine. Fame, sete erano sensazioni lontane. Vedevamo la nostra fine vicina ma sporchi del sangue del nemico tutti noi sapevamo che era quello il nostro posto, quello il nostro destino.
Infine l’esercito nemico penetrò nelle stanze più interne, il generale di Griphus ci scagliò contro un numero inquantificabile di uomini. Il nostro principe si batté come un leone, il numero dei corpi intorno a lui era impressionante. Infranse la sua grandiosa spada su di uno scudo nemico ma ormai perso nell’oblio della battaglia continuò a combattere con ciò che ne rimaneva.
Noi facevamo il nostro. Ricordo il sangue sulla mia lancia, i fuochi che ardevano nella sala del trono e l’odore acre della morte che inondava quelle sale. Stetti accanto al mio protetto fin quando ebbi abbastanza forza da muovere la mia lancia.
Alla fine una freccia lo colpì al fianco. E cadde per un secondo il silenzio.
Subito Tankyan che si trovava vicino lo sostenne e lo portò nelle retrovie dove Kerres e Aras lo soccorsero.
Dopo qualche concitato minuto mi chiamò verso di lui.
“Erre tieni la mia spada e portali in salvo. Fuggi dal ponte verso le montagne. Qui è finita. Abbiamo perso. Tutto è perduto. Voi..voi siete l’unica speranza che un giorno Spao Lithos torni ad essere una città libera. Vai Erre organizza la ritirata. Per favore non deludermi!”
Poi successe un fatto che ancora non mi è chiaro, allontanò tutti e volle solo Silduhin acconto a lui.
Gli parlò all’orecchio. Poi lo stregone gli diede una boccetta. Si rialzò e si fiondò sulle linee nemiche.
Quell’istante di scompiglio mi diede il tempo giusto per recuperare i pochi superstiti e fuggire giusto un momento prima che Lacenor, primo nel suo nome, sesto Re di Spao Lithos cadesse trucidato da una vile marmaglia.
Altri caddero nella fuga. Solo pochissimi di noi sopravvissero.
Iniziò un periodo da fuggiaschi, rifugiati sulle montagne come fossimo animali selvatici. Mangiando radici, carogne e tutto quello che i nostri stomaci non rifiutavano di ingurgitare. Passarono numerose notti. Cercammo di far perdere le nostre tracce. Non so se ci riuscimmo o se semplicemente valutarono che non rappresentavamo più una minaccia ma gli esploratori smisero di cercarci e noi potemmo riposare e finalmente pensare.
Una sera più clemente delle altre nei boschi, rendendoci conto di averla scampata, ci sedemmo tutti attorno al fuoco. Eravamo sconvolti, disperati, avevamo perso tutto. Famiglie, proprietà, titoli … la nostra terra. Alcuni finalmente si lasciarono andare, piansero per le loro perdite, pregarono gli Spiriti, maledirono Griphus e se stessi. Non c’era un futuro per noi, non vedevamo altro che l’oscurità non sentivamo altro odore che quello del sangue.
Alla fine Silduhin prese la parola: “Cosa sono queste facce rassegnate, vogliamo piangerci addosso? Pensate di ottenere qualcosa con questo spirito? Sappiamo tutti cosa deve essere fatto, riprenderci Spao Lithos. Salvarla. E se pensate che io sia un folle e che per pochi uomini questo è impossibile la strada della resa è giù a valle… forse Barbafuoco vi darà una morte veloce. Io la preferirei piuttosto che una vita senza uno scopo, una vita senza tentare di riprendermi ciò che era mio.
Quindi se dentro di voi arde ancora qualcosa, se credete che Lacenor non sia morto invano, se credete ancora negli Hul’Naus Kalith allora è già tempo di rialzarsi, finché almeno uno di noi crede nella riconquista allora Lukus ha una speranza.”
Il piano di Siduhin era semplice, avremmo girato il Mondo, i Piani, avremmo cercato fortune e gloria avremmo composto un nuovo e potente esercito di riconquista e, con l’aiuto del nostro popolo sottomesso ma fedele, avremmo ripreso la nostra terra.
Questo nuovo scopo ridiete energia a tutti noi e finalmente rivedemmo il sole.
Ripresi in mano il comando lasciatomi da Lacenor e confermato all’unanimità dai miei fratelli e riprendemmo il cammino.
Ora siamo in viaggio, il nostro numero cresce, altri si uniscono alla nostra causa, chi per gloria, chi per avventura, chi per sprezzo del pericolo.
Nel nostro pellegrinare abbiamo saputo di Vilegis, un crocevia tra i Mondi, un luogo dove i più valorosi si ritrovano e si sfidano. Quale posto migliore? E quale esercito migliore se non quello di Icaria Brandis, colui che crede nel valore in battaglia valga più di ogni cosa per migliorare noi stessi e trovare i più validi soldati che il Multiverso possa offrire?
Arriverà il giorno in cui torneremo a sentire il profumo delle messi di casa nostra, in cui potremmo di nuovo ammirare la nostra rocca e le nostre cento torri, ma fino a quel giorno ci aspetta un lungo viaggio e solamente impavidi e uniti supereremo ogni avversità!
Per aspera ad astra! Lode a Lodel!

Secondo Diario

È passato poco meno di un mese e davanti a noi c’è una ridente vallata, se non fosse per i dolori che ricordano al mio corpo quanto accaduto la mia mente potrebbe scambiare tutto questo per una battuta di caccia o al massimo una ricognizione. Ieri sera per la prima volta non è stato necessario organizzare i turni di guardia, la cantina dove abbiamo riposato doveva esser stata scavata per il contrabbando di chissà cosa ed era adeguatamente ampia e nascosta da concederci un po’ di riposo. Per l’ennesima volta non abbiamo potuto accendere un fuoco, abbiamo solo potuto immaginare il grasso del cervo che avevamo cacciato colare lentamente su braci assenti; l’abbiamo mangiato macinato, ma crudo. Nonostante le avversità gli animi si stanno lentamente scaldando, iniziamo a conoscerci e, per la prima volta, siamo riusciti a ridere. E’ stato un gesto liberatorio e allo stesso tempo inusuale, era come se in cuor nostro non credessimo di esserne più capaci. Siamo esuli, privi di provviste e costretti a dormire all’aperto. L’armatura che mi ha salvato la vita inizia a pesare sulle mie spalle, di giorno il sole me la scalda addosso mentre di notte il gelo prende possesso delle sue maglie ferrose. Il cammino è tutt’altro che agevole, ma non possiamo allontanarci dai boschi per timore di essere avvistati dai Griphus. L’altra settimana ne abbiamo abbattuti un paio, prima di morire ci hanno rivelato che varie pattuglie sono sulle nostre tracce e che Longbeard ha messo una taglia sulle nostre teste. Dubito che troveremo città sicure ancora per parecchie miglia. Mi chiedo cosa avrebbe fatto Lacenor, ora che l’insegna degli Hul’naus inizia a scolorire sulla mia lancia; ora che sono costretto ad usare la sua spada per farmi spazio fra gli arbusti piuttosto che fra le fila nemiche.
Stamane li ho guardati levarsi, al primo raggio di sole tutti meno Silduhin erano già pronti e stavano raccogliendo quel poco che ci è rimasto, ci siamo esercitati per qualche tempo prima di far colazione e rimetterci in marcia. Zarion si è messo in testa di insegnarci ad usare l’arco per renderci più rapidi e letali nelle imboscate che ci troveremo per forza di cose ad attuare e subire. Non posso che essere d’accordo per quanto l’arco sia uno strumento che non mi apparterrà mai così come non apparterrà mai a molti di noi.
Tra le nostre fila spiccano un paio di fabbri, tre topi di biblioteca, un cacciatore e un paio di strane figure di cui non capisco le arti ma a conti fatti siamo tutti guerrieri. Ognuno a modo suo riesce a divenire letale, si tratta di una dote innata quanto rara. Chi con brutalità, chi con eleganza, chi con strane formule, chi in silenzio, chi guidato dall’ira, chi dalla disciplina, chi come me appellandosi all’onore e chi guidato dall’infamia. C’è qualcosa nei nostri occhi che non si è spento insieme alle fiamme dell’amata Spao Lithos, un qualcosa che brilla nei nostri sguardi ogni qualvolta un rumore inusuale spezza il silenzio dei boschi.
La nostra stessa essenza è la via da seguire.
Per ritrovare la libertà dobbiamo prima trovarci un padrone, per il bene della nostra causa dobbiamo sposare quella di un altro. Sembra paradossale ma credo sia questa l’unica alternativa che ci rimane. Non appena saremo abbastanza lontani ci metteremo al servizio di chi offrirà di più, essere assoldati per poi assoldare. Non importa quanto ci metteremo, prima o poi saremo abbastanza numerosi da invertire la marcia e tornarcene a casa nostra nel tentativo di liberarla.
Stanotte Aegil ha intonato un canto attorno al fuoco, sono giorni che lo stava componendo. E’ un canto malinconico che parla della nostra terra, l’abbiamo ascoltato e, quando ormai le strofe giungevano al termine, sono convinto di aver visto delle lacrime rigare i volti di quelli che erano più vicini alle fiamme. Non dimenticheremo mai quel che siamo stati e saremo ancora. Una terra ormai lontana invoca il nostro ritorno e, prima o poi, qualcuno entrerà nella sala dal trono di Longbeard correndo, lo fisserà negli occhi e dirà: “Mio signore, stanno arrivando”. Io so che il terrore prenderà possesso del suo volto, e giuro su quel poco onore che mi è rimasto che quel terrore avrà un nome: Hul’naus Kalith!

Terzo Diario

Un passo in avanti, un passo verso quel portale arcano che, come di consueto, si apre in questo periodo e porta tutti noi in una terra incantata. Non ci sarà più l’orso del Brandis ad attenderci dall’altra parte. L’abbiamo abbandonato, tradito. Coloro che per anni hanno sofferto al nostro fianco ce li ritroveremo contro ora che abbiamo giurato fedeltà ad un bandiera diversa, ed un animale che, scherzo del destino, è l’emblema del nostro più acerrimo nemico. “Siete pronti a combattere per il grifone? Ad abbracciare il credo del dominio?” grido senza troppa convinzione. I miei uomini mi guardano, Silduhin, Lorien, Tankian e buona parte degli altri si sono già mostrati palesemente contrari, in troppi pochi rispondono con fermezza. “Parliamoci chiaro uomini: io non sono un grifone, mai ho fatto valere o pesare il mio titolo nobiliare e poco ma sicuro la prima cosa che farò dopo aver riportato il nostro stendardo sulle mura di Spao Lithos sarà farmi da parte, altro che dominio. Voi tutti che avete versato sangue e lacrime per la nostra città in questi tre anni siete nobili, non quei pomposi aristocratici con cui divideremo il campo. Frega un cazzo di Argantis e frega un cazzo di Vilegis!” Mi guardano, qualcuno con un cenno di approvazione che troppo mi è mancato. “Non imbracciamo spade e lance per loro, lo facciamo per noi. Perché grazie ai loro eserciti riusciremo a riprenderci la nostra casa. Grazie all’organizzazione che loro possiedono e che al Brandis difetta e difetterà sempre. Noi non saremo mai veri grifoni, noi saremo Hul’Naus nelle terre dei grifoni. Uniti nel coraggio manderemo giù l’ennesimo rospo e scenderemo a patti con il nostro credo e le nostre coscienze pur di rivedere Spaol Lithos libera e feconda come era un tempo”. Abbasso il tono ed indico il portale. “Zarion facci marciare, facciamo vedere a quegli effeminati cos’è un esercito e che cosa sono gli Hul’Naus!”

Quarto Diario

Non so come facesse a gestire tutte queste anime che ci seguono. Non penso fosse mai stata fatta una conta. 314 tra uomini donne e bambini.
Ci sono stati molti sviluppi e nell’ultimo periodo. Io e Enora siamo andati ad Eretum (paese di origine di Enora) e ci siamo messi in contatto con la regina, sua madre. Come sapevamo le condizioni di salute del padre non gli permettono di governare e per fortuna sembra che la vogliano al sicuro. Il fatto che io sia l’erede al trono non è stato menzionato. Ancora non è stato provato e nessuno ci crederebbe. Stiamo cercando di ottenere un posto sicuro dove stabilirci per un po’. Per loro è rischioso ma sembra che intendano aiutarci.
Forse abbiamo qualcosa. C’è un lago a nord di Eretum sovrastato da un forte che veniva utilizzato in tempo di guerra come avamposto di avvistamento. Molti mercenari pagati da Re Rosmir (padre di Enora) hanno alloggiato tra quelle mura. Col tempo però è stato dismesso ed ora viene utilizzato soltanto come magazzino per i piccoli insediamenti che ci sono in riva al lago. Dovrebbe essere abbastanza lontano sia da Griphus che da Mor. Non si aspetterebbero di trovarci così lontani dalle nostre terre. Dovremo stare molto attenti quando ci muoveremo.
Ci stanzieremo in quella zona sotto falso nome. “La Compagnia del cavallo di ferro”. Mercenari sotto paga del regno di Eretum che in questo periodo si sente minacciata dai regni vicini vista la malattia del Re.
Il viaggio è stato tutto sommato tranquillo. Abbiamo abbastanza uomini che fanno da apripista e le pattuglie per cercarci sono sempre di meno col passare del tempo.
Non c’è stato bisogno di dire nulla alle famiglie insediate vicino al forte. Ci hanno accolto tra loro senza troppe domande. Non vogliono problemi.
Tra poco ci sarà la chiamata del Grifone e abbiamo appena iniziato a stabilirci. I lavori per rendere utilizzabile il forte sono iniziati. L’ala Ovest è pericolante e una parte del piazzale interno è invasa da macerie. Per fortuna Castor è abile e sta gestendo da solo le riparazioni della struttura. Sta rinforzando la cinta muraria lasciando l’esterno identico a quando siamo arrivati. Questo ci assicura meno attenzioni da chi scruta il forte in lontananza. Dobbiamo essere cauti.
Questa situazione sta mettendo tutti a dura prova. Ma vedo speranza nei loro occhi. Dopo anni finalmente abbiamo un tetto sopra la testa e un fuoco che ci scalda senza la paura di ricevere un attacco improvviso. So di non essere bravo come Erre al comando, ma ho imparato molto da lui e almeno per ora sta andando tutto per il meglio.
Siamo vicini alla partenza. Una parte di noi dovrà restare a guardia del forte per questo non posso portare tutti. Sono convinto però che anche stavolta ci faremo valere.
Uniti nel Coraggio,
Zarion Orlen

Quinto Diario

Un crampo di fame al pensiero del roditore, poi un rigurgito di disgusto al pensiero di cosa sono diventato.
“Sei sicuro di star bene Erre? Ha ancora un po’ di ….” La sua voce esita, non vuole ferirmi, ma so bene che sta parlando delle squame che mi ornano il volto, quelle sono le ultime ad andarsene quando ormai la mente è abbastanza lucida da ricordarmi l’odiosa realtà.
Forgiata da una vita che l’ha vista avvicinarsi ad un trono e poi cadere ripetutamente nella polvere Enora sta pazientemente davanti a me, forte come un uomo eppure capace di prendersi cura e ricucire tutti noi come solo una madre saprebbe fare coi propri figli. “Te l’ho già detto che sarai un gran consigliere vero?”, la mia voce non indugia più sulla dannata lettera S, i miei pensieri sono di nuovo miei. “Me l’hai detto, e sono passata in breve ad essere la consigliera di un re”. Il suo sguardo indugia, passa di tenda in tenda fino a fermarsi su quella che appartiene a Zarion, re Zarion primo nel suo nome.
CE L’ABBIAMO FATTA.
Forse è vero che lo spettro che trionfa a Vilegis riecheggia e modifica l’andamento delle cose in tutto il multiverso. Gli anni della guerra e della volontà hanno portato prima caos e morte, poi hanno rinforzato le nostre convinzioni. Serviva l’anno del Grifone a darci la possibilità di riprenderci quello che era nostro di diritto, quello che sarebbe dovuto esser nostro da tempo immemore.
A volte quello che chiamiamo caso non è altro che la mano che il destino ci porge per elevarci dalla cenere. La notizia del carico d’oro in transito vicino al nostro castello era un qualcosa che non poteva non farci scattare, la sola idea di avere finalmente dei fondi per pagare le nostre guerre, e soprattutto l’idea che il loro esercito di mercenari dediti al soldo avrebbe vacillato aveva infiammato la volontà di tutti. Anche quelli che si stavano adagiando nel castello, quelli che credevano fosse “naturale” anelare ad una vita senza battaglie, una vita semplice si erano improvvisamente richiamati in causa. Quello che avevamo davanti era un bersaglio reale al quale anelare, non come la ricerca di uno stregone fin troppo orgoglioso per esserci davvero utile.
Il caso aveva voluto che il nostro principe, grazie all’aiuto dello straniero, fosse finalmente tornato fra noi. Il sortilegio che l’aveva reso pietra era stato spezzato, e con il mutare in carne della statua che era anche la mia maledizione era tornata a chiedere il suo tributo. Avevo di nuovo un principe, a che pro avere anche la lucidità per rendermene conto?
Zarion non c’aveva messo molto a riprendere le redini del comando. Accettato da tutti i veri Hul’Naus, anche da quelli che ancora si mostrano apertamente fedeli a me, il nostro principe ci ha mandato in perlustrazione con risultati insperati. Il vero tesoro non era una carrozza d’oro, ma il passeggero. Scortato da una forza abbastanza grande da opporre resistenza, ma non abbastanza da soddisfare il nostro ardore, uno dei 12 Cardini Scarlatti di Mor era stato tradito dal fato e costretto da turpi giochi politici a passare nel nostro territorio.
Un piano semplice e letale, i meccanismi di un ingranaggio fin troppo abituato a agire aveva disseminato il sentieri di trappole e la maestria delle armi aveva fatto il resto.
Non riesco a ricordare quanti ne siano caduti, in realtà dopo tutti questi anni mi ritrovo semplicemente a pensare “spero il più possibile”. Chissà quando ha capito che il suo Elohim non è altro che una divinità fantoccio, quando ha sentito il nostro urlo di battaglia, quando l’abbiamo gettato con il volto nel fango o quando discutevamo sul come farlo parlare.
A mente ferma, se devo esser sincero Il Cardine Scarlatto, Ascan Effort, uno dei 12 signori di Mor tra cui si erge il Conciliatore Alexander della famiglia Jabor, aveva iniziato a parlare ben prima che le sue falangi si piegassero in maniera innaturale.
La sua lingue era sciolta, come quella di tutti i damerini che raccontano le vicende del mondo con distacco, come la voce melliflua di chi è abituato a sussurrare all’orecchio piuttosto che a parlare in viso.
Parlava con naturalezza, distacco, di quelle che erano state macchinazioni capaci di spazzare via le nostre esistenze in un lampo. Ha dato conferma a tristi sospetti che già avevamo, ci ha finalmente confermato che c’è lo sporco potere di Mor è dietro la corruzione di Aibor ed il conseguente attacco di Griphus. Il nostro vecchio Re si è stato fertile terreno per il seme dall’avidità che il Conciliatore ha piantato in lui, lo ha spinto ad organizzare l’omicidio di Eric, e a scatenare i venti della guerra su di noi. La sua ambizione è caduta come la sua testa, come la nostra città, come il principe Lacenor e la mia Kalith in quella dannata notte.
Non solo Griphus, ma Mor e se necessario tutto l’Albero un giorno pagheranno per il sangue delle nostre genti. Ssssono disssposssto a tutto pur di fargliela pagare… sssse dovesssssi resssstar serpe per ssssempre… allora cosssSSIA!
Gli equilibri della nostra terra sembrano persino più labili di quelli di Vilegis, se in quel mondo cambiano ogni anno almeno lo fanno apertamente, con onore. Nel nostro mondo invece tutto sembra tessuto su una ragnatela logora.
Il nostro ospite ci ha anche detto che il Conciliatore ha molti nemici come tutte le persone colme di un’ambizione smodata. La sua volontà di dominare l’intero Albero trova nella volontà di diffondere la “luce” di Elohim è chiaramente un misero pretesto. Lukus ha avuto la sfortuna di trovarsi troppo vicina alla sua ambizione, è stata la prima preda di una lunga caccia che però ha inimicato a molti.
Ha già combattuto con Katrin Effort Signora di una delle 5 città di Pentapolis e allo stesso tempo dato in sposa sua figlia a John Effort. Quale essere può risultare tanto ripugnate da vendere È evidentemente un uomo senza scrupoli vendere la propria figlia ad una fazione per poi muovere guerra alla stessa rischiando di ucciderla? Che sorta di demone hanno deciso di metterci contro gli spiriti per saggiare la nostra resistenza? Evidentemente la compassione non è tra i dettami di Elohim.
I miei soldati pensano alle loro case, alle loro famiglie. Anche io vorrei fermarmi e pensare per un attimo col sorriso ad un giorno senza battaglie, ma non è ancora tempo. Dobbiamo allargare il nostro sguardo se vogliamo contrastare i piani di Alexander. A nord, oltre Pentapolis che già ribolle per aver subito il nostro stesso destino c’è il regno delle Lancia Libera dove il Re Karl di Valois sta pianificando da tempo un attacco. I suoi stretti rapporti con il Regno di Nuova Città, che domina tutte le terre della parte meridionale dell’Albero, è ben nota e salda da tempo.
Se Karl prendesse il Nord e sollevasse le genti del sud potrebbe chiudere Mor nel mezzo, solo che in questa stretta ci ritroveremmo avvinghiati anche noi.
“sei troppo taciturno, abbiamo nuove cicatrici, abbiamo un nuovo re. Butta via quel quadernetto che nessuno leggerà mai, è tempo che io ti veda sbronzo come in gioventù!”, non c’è un’ascia fra le sue mani, ma quello che è un misto fra una brocca ed un otre mette alla prova i muscoli delle sue braccia e i suoi pensieri ebri ed annoiati.
Sorrido.
“Mio principe, mio re!” Zarion mi guarda, a volte ho come l’impressione che tema in parte le mie parole, o che non riesca a cancellare delle immagini di me ferme nella sua mente. Forse un giorno gli dovrò ricordare che, quando mi dava del sadico mentre lanciavo i seguaci di Elohim giù dalle mura ai tempi della guerra, io avevo ragione, lui solo torto. “Per la prima volta dopo anni guardo al cielo e non vedo nubi, guardo i volti dei miei fratelli e vedo sorrisi, abbasso il capo e quando lo rialzo… IO VEDO UN RE!”. Il silenzio scende nel salone, un attimo solo prima che la gioia prenda nuovamente possesso delle tende, distraendo ciascuno dal proprio lavoro. Faccio esattamente quello che un capitano non dovrebbe fare, ma forse quello che ad una lucertola riesce meglio.
Lorien e Lud sono gli unici avulsi da questo clima di festa, hanno ancora altro a cui pensare.
La sera prima dell’agguato, Lud tornato dopo troppo tempo, ha tirato fuori i documenti che comprovano la discendenza Reale di Zarion. Li stava tendendo nascosti per vedere se Zarion fosse meritevole, non voleva far cadere il regno sotto l’ennesimo tiranno. Questa alzata di capo, seguita dal venir a confessare la cosa solo a me, non è per niente stata gradita. Per un attimo lo schieramento si è diviso, i posti alla tavola del principe si sono mescolati e ognuno in cuor suo si è sentito più tarato da una parte piuttosto che dall’altra. Lorien nella sua impulsività è arrivato alle mani e siamo stati costretti ad ammanettarlo quando il nome di Silduhin è stato fatto con troppa insistenza e trascurato troppo a cuor leggero. Mi chiedo ancora se tenersi quei tre fratelli sia un bene o un male..
Quella faina di Ascan aveva avuto l’ardire di consigliarci di uccidere Alexander, nemmeno fossimo delle pecore, nemmeno gli scemi del villaggio. La nostra vendetta avrebbe aperto le porte all’Invasione della Lancia Libera, portato scompiglio nell’Albero, fatto iniziare una guerra civile e probabilmente messo il nostro buon Ascan in una posizione privilegiata. Da mandante di un omicidio a divenire un portatore di libertà e giusto reazionario il passo sarebbe stato breve, con il sangue a sporcare le nostre mani ed i meriti a incensare le sue spalle.
Lukus viene prima di quel burattinaio mancato quindi le nostre attenzioni si sono spostate su un vecchio nemico: Barbafuoco Re di Griphus, l’usurpatore.
Dopo aver riempito le nostre segrete con l’oro di Mor abbiamo stretto accordi con Ascan, gli abbiamo reso la sua libertà in cambio di un’occasione.
Mi duole ammetterlo, ma quel viscido lacché si è guadagnato la nostra fiducia quindi dovrò averci ancora a che fare. Come concordato ha portato Barbafuoco nel luogo e nell’attimo perfetti, un ennesimo ordine, un’ennesima carica, un’ennesima tacca su Kalith. La più profonda e la più bella che una guerra possa regalare all’arma di un capitano.
Ho affrontato scontri, ho combattuto battaglie, forse l’altro giorno abbiamo anche vinto una guerra. Quando le lame sibilano ed il suono degli scudi frantumati prende possesso dell’aere non si sente la stanchezza, ma in poco tempo, a discapito di quanto si possa esser abili, la sensazione del dolore fa capolino fra le membra arroventate. L’armatura che pesa sulle spalle, le ferite, i muscoli stanchi di alzare lo scuso e persino le mani iniziano a dolere per la forza della presa.
Non l’altra sera.
Eravamo come sorretti da un incantesimo, spinti da un vento impossibile da contrastare. Ritmici ed inesorabili come le onde del mare. Ho visto i miei uomini trafitti, ho visto il mio principe sanguinare, le bende dei cerusici tingersi di un rosso scarlatto eppure… nessuno si sarebbe fermato. Fossimo anche stati 10 contro 100 avrebbero dovuto smembrare le nostre carni e frantumare le nostre ossa solo per rallentar la nostra avanzata. Ad uno ad uno sono caduti, ad uno ad uno hanno rivolto lo sguardo verso Griphus tentando la fuga. Ad uno ad uno… fino a LUI.
La testa di un antico orrore infilzata sulla punta di Kalith. Il suo sguardo spento rivolto verso la nostra Lukus. “L’hai vista bruciare figlio di puttana, eppure lei è ancora là! La nostra gente, le nostre terre, i nostri sogni bruciano ancora, mentre per te c’è solo il freddo abbraccio della sconfitta!”